mercoledì 8 giugno 2011

Intervista: due storie di sviluppo rurale in Ungheria | ECONOMIA.HU - The online magazine of ITL Group - Notizie economiche da Budapest e Ungheria

Intervista: due storie di sviluppo rurale in Ungheria | ECONOMIA.HU - The online magazine of ITL Group - Notizie economiche da Budapest e Ungheria

Di Claudia Leporatti - Economie alternative, esperimenti che almeno in piccola scala, mostrano i loro risultati. Un'intervista, due storie di esempi positivi nella campagna ungherese, “Due best practices che da riprodurre anche altrove.” come le definisce Gergely Kabaj, sociologo ed economista per la Pannon Elemző Iroda Kft., società specializzata in analisi regionale, sviluppo rurale e consulenza per lo sviluppo del territorio.

Decido di contattare Gergely quasi per caso. Scopro la storia di Belecska, villaggio ungherese rinato a vita nuova grazie a un programma di sviluppo rurale, mentre mi sto interessando ad un altro fenomeno locale, quel tipico “raccogli e paga” che inizia ogni estate allo spuntare delle prime fragole, portando nei campi centinaia di cittadini, armati di cestini per raccogliere e pagare ai contadini la frutta che si sono raccolti.
A Belecska però la raccolta la fanno gli abitanti del luogo e non per esportare e nemmeno per passare una domenica all'aria aperta. Belecska è paese che non arriva a contare quattrocento abitanti, collocato in una delle zone sottosviluppate dell'Ungheria. Di recente, ha fatto parlare di sé sulle pagine dei giornali locali per essere diventato un esempio di auto-efficienza e spinta occupazionale. Per capire la dimensione della svolta vissuta da Belecska, bastano due numeri.
La vittoria sulla disoccupazione
Il primo è l'impressionante tasso di disoccupazione del 32% che interessava il paesino nei primi anni Novanta, il secondo è l'attuale dato sulla disoccupazione, intorno al 6%. Certo, in un luogo tanto piccolo, i fattori ad influenzare questi valori possono essere i più disparati, ma la crescita occupazione non è stata affatto casuale, bensì frutto di un ambizioso programma lanciato nel 1998 per ridurre la dipendenza dai sussidi statali degli abitanti del paese. Nella storia di Belecska si uniscono pubblico e privato grazie alla coincidenza tra l'eccesso di piantine di fragole possedute da un imprenditore amico dell'allora sindaco Róbert Jakab e la vincita da parte del comune di un bando da 700.000 fiorini ad uso agricolo. Il paese acquista le piantine e le pianta nei vari campi del comune. I profitti arrivano dopo un anno di attività e crescono quando il modello viene esteso a coltivazioni di vari tipi di frutta ed ortaggi, su un territorio complessivo di 25 ettari.
Una formula che porta lavoro ai tanti cittadini di Belecska sprovvisti di occupazione e fa parlare di un piccolo esempio di economia sociale, modello sperimentato dalla Germania dell'Ovest nata nel secondo dopoguerra basato sulla cooperazione, sul consumo di risorse prodotte o coltivate in loco e sulla non-dipendenza dal welfare. L'altra storia, quella di Kisvejke, me la racconta Gergely ed è forse ancor più interessante. Protagonisti gli americani e gli albicocchi. Ma andiamo con ordine.
Gergely, hai da poco realizzato una ricerca intitolata “Analyzing locally initiated economic development programs” in cui analizzi il caso del paese di Belecska. Perchè è importante farlo conoscere?
La storia di Belecska mostra una possibile soluzione al grosso problema della disoccupazione. Verso la fine degli anni Novanta, questo paesino della bassa Transdanubia aveva un tasso di disoccupazione vicino al 40%. Adesso il dato è al 6%, dopo appena 13 anni.
Come si presentava Belecska, contea di Tolna, nel 1998?
Belecska era ed è un paese da 300-400 abitanti, in una delle cosiddette aree svantaggiate dell'Ungheria.
Cosa si intende con aree svantaggiate?
Sono delle zone del Paese piuttosto isolate e arretrate, che godono di finanziamenti e sussidi speciali che sostengono la loro crescita.

I territori svantaggiati sono quelli del Transdanubio Meridionale, della Pianura Meridionale, dell'Ungheria Settentrionale e della Pianura Settentrionale, tutti caratterizzati da grandi terreni coltivati o incolti e da piccoli agglomerati residenziali, i caratteristici paesi della Puszta (campagna ungherese) con abitazioni basse e povere.

Cosa c'era a Belecska, prima dell'intervento di cui stiamo per parlare?
Niente.
Neanche una scuola?
No. Solo case, qualche negozio ed alcune birrerie. Le persone erano in buona parte senza impiego e vivevano grazie al sussidio di disoccupazione.
Come nasce il programma di risanamento economico?
L'allora sindaco Róbert Jakab lanciò un programma a lungo termine, da portare avanti fino al 2012, per la creazione di posti di lavoro per tutti i disoccupati del paese. Per attuare un progetto tanto promettente, approfittò di una circostanza favorevole. Un suo amico si ritrovava a possedere una grande quantità di piantine di fragole che non riusciva a vendere. Grazie ad un bando per l'agricoltura appena vinto dall'amministrazione locale, il comune compra le piantine, le distribuisce e le fa coltivare dai nuovi contadini del luogo, che vengono iniziati al mestiere con una sorta di apposita formazione. Il programma si chiama “Sorsfordító – sorsformáló”, che significa "Cambiare vita - Formare la vita".
Come andarono gli affari?
Dopo il primo anno, Belecska comincia a registrare i primi profitti, ma i benefici derivanti da questo esperimento si misurano soprattutto con altri tipi di effetti,
Che stipendio percepiscono i cittadini che hanno accettato il posto nel settore agricoltura nell'ambito del programma?
Lo stipendio minimo.
Quali cambiamenti si osservano ora che molte più persone ricevono un salario fisso? I consumi sono aumentati?
Sicuramente, anche se gli effetti più evidenti sono a livello comportamentale. Innanzitutto stanno sparendo l'alcoolismo e i casi di malattie mentali che affliggevano il paese ai tempi della disoccupazione ai massimi livelli. Inoltre i cittadini adesso sono in grado di coltivare e questo ha portato la tendenza ad auto-sostenersi grazie agli orti. Non solo, ma il lavoro ha reso gli ex-disoccupati più attivi ed ambiziosi. Il paese che prima si presentava piuttosto malandato adesso è pulito e restaurato.
Che tipo di persona era il sindaco, di recente venuto a mancare?
Jakab è stato per circa 30 anni il veterinario di questa zona. Conosceva bene il territorio e lo amava. Avrebbe promosso un prolungamento del programma dopo il termine stabilito per i sussidi statali alle regioni sottosviluppate, valido dal 2009 al 2012. Purtroppo, due mesi fa è deceduto per un colpo apoplettico.
Qual'era il suo orientamento politico?
Si è candidato come indipendente e si è mantenuto tale.
Chi prenderà il suo posto?
Lo decideranno le elezioni, tra due mesi. I candidati sono 4, tutti del posto. Questo fa sperare che sappiano portare avanti il programma senza gettare al vento quanto fatto finora. E' essenziale che le persone non tornino senza lavoro. La disoccupazione prolungata ha effetti devastanti sull'umore e sulla salute mentale e non è stato facile educare gli ex-disoccupati al lavoro.
La tua osservazione tradisce il tuo interesse per l'antropologia. Come mai ti sei interessato a questa storia?
Sono laureato in etnologia ed antropologia, ma lavoro per l'istituto di ricerca Pannon Elemző Iroda e ho ricevuto l'incarico dall'Accademia delle Scienze ungherese di svolgere una ricerca sulle economie locali in via di sviluppo. Spulciando le notizie degli ultimi anni mi sono reso conto del rilievo dato alla vicenda di Belecska dai media ungheresi e allo stesso tempo mi sono accorto che nessun media dava segno di conoscere davvero il programma lanciato nel paese. Abbiamo scelto anche un secondo caso, quello di Kisvejke, un paese magiaro che fu visitato dagli statunitensi dopo il cambio di regime. La delegazione rimase colpita dagli 80 ettari di albicocchi presenti in questo luogo, quasi del tutto non sfruttati. Era il 1995 o il 1996 e venne lanciato un programma chiamato "American Programm" per dare una spinta allo sviluppo all'Ungheria uscente dal regime sovietico applicando modelli di stampo americano. I membri dei governi locali di Kisvejke e altri 5 paesi della zona furono riuniti intorno allo stesso tavolo per fare un lavoro di brain storming. Alla fine crearono una cooperativa di 10 membri. Oggi i partecipanti sono 80 e la cooperativa gestisce 400-500 ettari di frutteti, non solo albicocchi, ma anche meli, ciliegi e altre varietà. Il dettaglio interessante che voglio aggiungere per i vostri lettori è che ogni anno i membri della cooperativa fanno almeno un viaggio nel Nord Italia per tenersi aggiornate sulle tecniche di coltivazione impiegate in quelle regioni e riutilizzarle nei loro territori.
Il risultato è una produzione solo per il consumo locale o per un giro d'affari di più ampio raggio?
La frutta di queste zone viene esportata in Europa occidentale, soprattutto in Germania, nei paesi scandinavi e in Inghilterra. La disoccupazione è appena del 5% e sussiste quasi solo per via delle persone che preferiscono restare senza lavoro piuttosto che lavorare nei campi.

Claudia Leporatti



martedì 7 giugno 2011

Intervista- Federico Fellini



martedì 10 maggio 2011

Intervista a Marco Malvaldi, a Budapest con il giallo dell'Artusi


L'autore di un best seller che ha venduto più del primo libro dato alle stampe, la Bibbia, si ritrova sulla scena del delitto. Lui è Pellegrino Artusi, il libro è "La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene" una sorta di vademecum di ricette, aneddoti e consigli che preserva i preziosi segreti della saporita cucina toscana. Il delitto, invece, ci porta dentro un altro libro, “Odore di chiuso” del pisano Marco Malvaldi, giovane chimico autore di una fortunata serie di gialli ambientati in un bar in Toscana, edita da Sellerio, la casa editrice dei tascabili blu tanto apprezzati dai lettori pendolari. Incontriamo Malvaldi a Budapest , dove è stato invitato a rappresentare l'Italia al Festival del Libro, insieme alla esordiente Gaia Rayneri. Diretto e dalla risata facile, Malvaldi si racconta con disponibilità, nonostante la fama, meritata, dei suoi libri.

Presentaci "Odore di chiuso", il tuo ultimo libro. Di cosa parla?
"Odore di chiuso" è un giallo ambientato in Maremma, a San Carlo. La trama prende le mosse da un delitto, tra i cui indiziati figura un personaggio storico piuttosto noto in Italia. Si tratta di Pellegrino Artusi, commerciante di sete e gourmet conosciuto per aver scritto il primo libro di cucina in lingua italiana. Con questa famosa opera, Artusi ha contribuito ad unificare l'Italia in modo effettivo, creando un sentimento nazionale che va aldilà della mera figura retorica e politica.
Come è nato il suo rapporto con l'Artusi?
Quando sono andato a vivere da solo, ho ricevuto in regalo, come molti giovani, il libro di cucina dell'Artusi (tanto famoso da essere noto semplicemente come "l'Artusi"). Ho iniziato a leggerlo non tanto per le ricette, in parte troppo pesanti e poco adatte ai nostri tempi, godendo piuttosto della sua lingua italiana perfetta e spiritosa, ricca di aneddoti, apocrifi e spunti. Il libro dell'Artusi non è un vero e proprio libro di cucina, in quanto non è imperativo. Con le sue ricette non si mette mai davanti al lettore come un manuale indicando: "Fate, imbianchite, tagliate...". Al contrario, affianca il lettore e gli insegna a fare qualcosa, suggerendo dei trucchi, mettendolo in guardia dagli errori più comuni. Ogni piatto, poi si lega ad aneddoti divertenti e interessanti, diventando un traslato su carta di un personaggio che trovo fantastico.
Hai pubblicato questo libro in occasione della doppia ricorrenza dei 150 anni dall'Unità d'Italia e dei 100 dalla morte dell'Artusi. Quale riscontro ha ottenuto fuori dalla Toscana?
Onestamente il centenario dalla morte dell'Artusi è stato un'attenzione della casa editrice, io avevo pensato solo all'uscita strategica per il 150esimo compleanno dell'Italia unita. Un libro d'intrattenimento, di cui c'è sempre un gran bisogno, che contiene anche argomenti seri, come l'unità d'Italia, il rapporto difficile tra nobiltà e borghesia, tra privilegiati e non. Questi elementi possono anche essere tralasciati per privilegiare una lettura di puro intrattenimento. La doppia ricorrenza è stata una coincidenza fortunata e il libro è andato bene in tutta Italia e non solo.
Sono in corso traduzioni in altre lingue?
Sì, in inglese e tedesco. Probabilmente ci sarà anche un'edizione spagnola.
Torniamo indietro di qualche anno. Come è iniziata la tua avventura letteraria?
Ho iniziato a scrivere per noia durante i tempi morti della mia tesi di laurea in chimica. Uno sfogo, un antidoto alla noia, niente di più. Anche Niccolò Ammanniti ha scritto "Branchie" durante la sua tesi di laurea, del resto. In seguito mi sono accorto del largo gradimento riscosso dai miei resoconti sulle attività di dottorato, scritti come rappresentante degli studenti, che venivano letti anche dagli esterni ai lavori per il semplice motivo che...facevano divertire. A quel punto avendo un romanzo nel cassetto, ho deciso di provare ad inviarlo a vari editori. Solo Sellerio ha risposto, ma lo ha fatto con un sì. In ultima analisi, ho avuto anche un bel po' di fortuna (ride).
Quali progetti hai per il futuro?
Sto scrivendo il quarto ed ultimo giallo della serie dei vecchietti, ambientato vent'anni fa. Per ovviare al cosiddetto effetto Jessica Fletcher questo quarto capitolo sarà anche l'ultimo della saga: non si può prendere un paesino da 5000 anime e uccidere una persona l'anno, sarebbe un'offesa alla statistica!
Pensi di uscire dal giallo?
Vorrei scrivere un romanzo serio, tra virgolette. Non so se sarò in grado di uscire dall'intrattenimento puro, vedremo, ho molta voglia di tentare.
Che impressioni ti ha dato Budapest?
La trovo magnificente. si vede che è una città centrale, piena di gente, di vita e ricca di cultura. Da italiano mi ha poi colpito per la sua pulizia, per il suo aspetto curato e ben mantenuto. Credo che qui si possa vivere molto bene; oltre a Budapest solo Amsterdam e San Francisco mi hanno lasciato questa sensazione.
Una buona ambientazione per un libro, no?
Decisamente e ce ne sono molti ambientati in questa città. Senz'altro una buona ambientazione, anche grazie ai suoi tanti posti diversi. Basti pensare all'Isola Margherita e alle possibilità che potrebbe dare per un libro!

Intervista in ungherese

Una mia intervista si trova qui...in ungherese! Comunque e` molto carina e risale al mio periodo in Erasmus presso il College di Comunicazione e Business di Budapest, una deliziosa scuola privata (università)dove ho potuto seguire corsi interessanti e spesso divertenti, oltre a conoscere un paio di giornalisti americani con cui ho instaurato due ottime amicizie.

Vedi intervista, sfoglia la rivista!


mercoledì 4 maggio 2011

Gaia Rayneri: intervista alla scrittrice italiana nella Budapest dei misteri | ECONOMIA.HU - The online magazine of ITL Group - Notizie economiche da Budapest e Ungheria


A Budapest come ospite al Festival Internazionale dei Libri del 2011, Gaia Rayneri, scrittrice torinese, prende parte ad un'edizione senza precedenti della principale fiera ungherese interamente dedicata ai libri. Come molti altri eventi di questo semestre, infatti, la fiera del libro ha tratto giovamento dalla coincidenza con la presidenza di turno dell'Unione europea. Budapest ha pensato non solo ad invitare scrittori da tutti i paesi membri UE, ma anche ad organizzare eventi mirati a favorire la loro partecipazione attiva e la circolazione di libri stranieri, veicolata dalla loro presenza a questo apprezzato festival. Gaia è stata scelta per la categoria degli scrittori che hanno da poco pubblicato il loro primo romanzo. “Pulce non c'è”, pubblicato da Einaudi nel 2009, è una storia vera e drammatica, raccontata con ironia da un'autrice talentuosa e innamorata della scrittura, ma anche della vita. Approfittiamo della sua presenza a Budapest per parlare con lei del suo libro, delle sue aspirazioni e, naturalmente, anche di Budapest. La incontriamo in tarda mattinata, prima del suo intervento al festival. "Emozionata?", le chiedo dopo i saluti. "Abbastanza, parlare in inglese davanti a molte persone mette sempre una certa ansia addosso!" In realtà può far affidamento su un'ottima pronuncia, perfezionata durante la sua esperienza di vita a Londra. Una ragazza alla mano e disponibile, che non si è fatta montare la testa dal successo ed accetta di buon grado un'intervista all'aria aperta, nel vivace prato del Millenaris. Rischiamo di prenderci una pallonata dai bambini che giocano vicino a noi, ma cominciamo con le domande.
Il tuo primo libro è stato pubblicato quando avevi appena 21 anni e premiato non solo con alcuni titoli, ma soprattutto con il successo nelle librerie.
Di cosa parla “Pulce non c'è”?
Una storia vera, autobiografica, che racconta di una vicenda vissuta dalla mia famiglia. Mia sorella è autistica e nel libro si chiama Pulce. Alcuni anni fa, un giorno mia madre va a prenderla a scuola e si scontra con una brutta sorpresa. Le dicono: "Pulce non c'è". É portata via dagli assistenti sociali, "in un posto migliore" perché si ritiene che i suoi genitori non siano più adatti a prendersi cura di lei. Una settimana dopo si scopre che la bimba, incapace di parlare, ha scritto tramite il metodo di comunicazione che usa per esprimersi (la CF, nota dell'autore) che il padre aveva abusato di lei. Nonostante sussistano le prove dell'inattendibilità di questo metodo, che mette nella bocca di chi lo usa parole non sue ed è per questo stato definito "immorale" dall'American Psycological Association, Pulce resta lontana da casa per quasi un anno. Potranno vederla solo la mamma e la sorella, che nel romanzo si chiama Giovanna ed è la narratrice, a patto che durante le visite non facciano nessun accenno a particolari che potrebbero ricordarle la sua vita precedente all'ingresso nell'istituto. Visite controllate da una "donna-soldato" responsabile di controllare, nella piccola stanza dove hanno luogo gli incontri, che non siano pronunciate parole come "papà" o "casa". Tutto questo "per il suo bene".

La storia sembrerebbe una spremuta di dolore, ma io ho voluto prenderla dalla prospettiva della sorella, una ragazza particolare, con i suoi tic nervosi e i suoi amici immaginari, ma soprattutto con il suo modo "sbilenco" di guardare alla vita, che le consente anche di ridere, a dispetto della situazione tragica. Una scelta che autorizza l'ironia e rende il romanzo piacevole e divertente.



Al momento stai scrivendo libri per bambini. Difficile vivere solo di scrittura?
Molto, ma se facessi la cameriera di sera, tanto per usare un esempio che ho provato davvero, i miei scritti risentirebbero della mia stanchezza e avrebbero una forza minore. Mi considero una scrittrice, credo al dovere di riuscire a fare di questa una vera e propria professione.


Nel tuo libro parli di una delicata questione familiare. Come hanno reagito i tuoi alla pubblicazione?
All'inizio con grande spavento. Ho raccontato un clamoroso errore giudiziario che ha travolto la mia famiglia, per il quale non siamo mai stati risarciti. La paura era che le persone che avevano portato avanti questa ingiustizia mi denunciassero per diffamazione.

E tu, non hai avuto paura?
No, perchè sapevo di essere nel giusto e mi sembrava doveroso parlare di questa vicenda, per la mia famiglia e anche per le altre che subiscono episodi del genere. I miei genitori hanno di certo risentito di una grande stanchezza e di una certa esasperazione per l'accaduto.

Ci sono stati problemi, dopo la pubblicazione?
No, anzi il libro ha avuto un discreto successo a livello di critica e di pubblico, oltre a diversi premi e riconoscimento. Spero che questo sia stato per i miei genitori un risarcimento.

Nessun risarcimento monetario?
Per una sorta di cecità di istituzioni come i servizi sociali, il tribunale dei minori, la stessa scuola la nostra famiglia è stata incolpata, anziché difesa, nonostante le prove dell'innocenza di mio padre ci fossero fin dall'inizio. Il fatto che non abbiano mai cambiato idea non mi stupisce. Durante alcune presentazioni di "Pulce non c'è" mi sono addirittura trovata ad essere assalita dagli assistenti sociali che cercavano di attaccarmi.

Dal tuo romanzo sta per essere tratto un film. Sarà fedele al libro?
Sì, mi occupo personalmente della sceneggiatura. Ero stata contattata anche da alcuni grandi produttori, ma alla fine abbiamo scelto una produzione indipendente, che significa meno soldi ma maggior qualità e sensibilità nell'affrontare il tema. Il regista è un esperto aiuto regista al suo esordio alla regia, mentre la sceneggiatura la stiamo scrivendo con Monica Zapelli (affermata sceneggiatrice, famosa ad esempio per "I cento passi"). Trovo molto bello riscrivere quello che ho vissuto e poi già scritto, nel contesto nuovo di un gruppo di lavoro, per migliorarlo e fare arrivare ancora di più la storia allo spettatore.

Cosa si prova a dischiudere particolari anche intimi e pubblicare una storia che è quella della propria famiglia?
In realtà non ho voluto scrivere un romanzo autobiografico, se avessi voluto descrivere la mia famiglia sarei forse andata in televisione, a Striscia la Notizia o a Pomeriggio 5. Il mio desiderio era quello di comporre un'opera letteraria, per questo storia e descrizioni sono molto romanzate. Nel libro non c'è il mio dolore. Ci sono i tratti di una famiglia e un dolore possibile, verosimile, ma non i nostri. Mi sono divertita a riportare quelle piccole nevrosi e altri dettagli “sbilenchi” che esistono in tutte le famiglie. In contrapposizione alla normalità inesistente, tendente ad un'astratta perfezione, che avrebbero voluto le istituzioni.


Volevi fare una denuncia o solo scrivere un libro?
Tutte e due. Credo che la narrazione renda più forte una denuncia. Se fossi andata in tv avremmo avuto qualche secondo di attenzione e poi tutto sarebbe svanito. Con il romanzo e grazie al punto di vista della sorella, l'errore giudiziario, raccontato da una tredicenne ho potuto urlare delle verità che un adulto non potrebbe forse raccontare, senza cadere nel patetismo.

Da piccola sognavi di fare la scrittrice?
Sognavo di scrivere, ma non di fare la scrittrice. Ho poi sentito l'urgenza di raccontare questa storia e l'ho fatto. Era il mio primo lavoro di senso compiuto, che l'Einaudi ha letto mentre lavoravo da loro come lettrice di dattiloscritti. All'epoca il manoscritto non era finito, avevo scritto 50 pagine, ma la casa editrice mi ha stimolato a finirlo, per poi darlo alle stampe.

Quando hai cominciato a scriverlo?
A 19 anni. In mezzo c'è stata la vita, circa 2-3 anni in cui l'ho scritto non per la pubblicazione, ma perché mi andava di farlo. Adesso, grazie alla fiducia ottenuta, ho la consapevolezza di saper strutturare una narrazione voglia di lavorare ad altri libri.

Sono uscite traduzioni in altre lingue?
Ne è uscito un passaggio in un'antologia tedesca sulla letteratura giovane italiana. Ancora è presto per le versioni in lingue straniere. Gli editori aspettano che uno scrittore abbia scritto almeno due o tre libri prima di tradurne le opere e lanciarlo sul proprio mercato.

Cosa pensi di Budapest dopo questi primi due giorni di permanenza?
Budapest mi è sembrata una città misteriosissima e tutta da scoprire. Credo che la sua bellezza stia negli angoli nascosti, negli edifici dall'architettura sorprendente.

Come l'hai esplorata? Hai scelto itinerari particolari o seguito l'istinto?
Mi sono persa! E ho seguito il Danubio, l'acqua mi rilassa.

Claudia Leporatti

sabato 3 luglio 2010

Oggi Incontriamo...Ekaterina Naumenko, fotografa a Budapest


Oggi Incontriamo…Ekaterina V.Naumenko, fotografa di moda ed artista a Budapest e Mosca. L'intervista ha luogo negli uffici di ITL Group di Budapest, condotta in lingua inglese e sottotitolata in italiano. Nel corso del video sono visibili alcuni dei lavori dell'artista, per sua gentile concessione. Ekaterina V. Naumenko vive a Budapest da alcuni anni, anche se il lavoro la porta a spostarsi spesso a Mosca, sua città natale, e in molte altre città europee. Realizza scatti per l'industria della moda, lavora con giovani artisti emergenti, produttori cinematografici e designer di interni. Ha seguito e continua a sviluppare progetti con stilisti e designer italiani,
oltre a collaborare con agenzie di modelle e media. Tra i suoi ultimi lavori, la copertina di un cd, foto per un set cinematografico a Budapest e la mostra “Here's looking at you”, presso il terminale 2 dell'aeroporto internazionale Ferihegy di Budapest. Ai microfoni di Economia.hu Ekaterina racconta di come ha deciso di passare dal giornalismo internazionale alla fotografia, illustrando il mercato di questo business in Ungheria. Come è cambiato il mercato della fotografia dopo la crisi finanziaria?
Oggi Incontriamo...Ekaterina Naumenko, fotografa e artista a Budapest e a Mosca. Ekaterina Naumenko inizia la sua carriera come giornalista internazionale e specialista in Public Relations, dopo essersi laureata in queste materie presso l'Università di Mosca. Dopo alcuni anni, ci racconta, scopre la fotografia professionale, la studia e non la lascia più. Una personalità eclettica, una donna intelligente e senz'altro coraggiosa, che ha vissuto in diverse zone d'Europa per poi stabilirsi a pochi chilometri da Budapest, a Szententedre, paese di cui realizza splendide panoramiche. Oltre a viaggiare continuamente verso la sua seconda casa, Mosca, Ekaterina deve farlo per seguire i numerosi progetti del suo studio fotografico, spesso impegnato in progetti internazionali per l'industria della moda e dell'intrattenimento, oltre che in lavori per varie riviste.
Cos'è la fotografia per te? Come sei arrivata a fare di questa passione il tuo business?
Credo che la fotografia abbia una forte influenza sulle persone e vi dirò perché. Premetto che come il cinema e la tv (la fotografia) ha un potente effetto visivo. La fotografia però è l'unica arte che consente di fissare il momento. Come se, quando vuoi dire qualcosa di importante alle persone tu le prendessi per le braccia guardandole negli occhi. Ecco, con la fotografia afferri l'intero mondo e lo spremi in un preciso istante. Questo momento diventa il veicolo del messaggio del fotografo al pubblico. Questo è ciò in cui credo ed è anche quello che provo a realizzare. Sono una persona molto creativa. Quando lavoravo come giornalista e PR sentivo la mancanza di qualcosa. La fotografia è la dimensione in cui volevo mettermi alla prova ed esprimere me stessa. La dimensione da cui ho creato uno dei miei business.
Da quanto tempo vivein Ungheria?
Sono arrivata la prima volta nel 1998. Per diverso tempo ho lavorato come corrispondente per giornali russi in Ungheria. Ho poi viaggiato molto, vivendo anche per lunghi periodi in vari paesi. Finché, due anni fa, ho trovato me stessa in questo paese.
Quali sono le maggiori attrazioni per i liberi professionisti a Budapest ed in Ungheria?
Probabilmente il minor budget necessario per auto-promuoversi e per creare il proprio nome, ma anche (parte tagliata nell'intervista video) la bellezza della città e il fascino che sa esercitare sulle persone creative. Conosco molte persone che sostengono di dare il meglio di loro stessi in questa capitale, di sentirsi più motivati e di trovare più facilmente riscontro. Essere creativi è importante in questo mercato del lavoro più ancora che in altri.
Come sceglie i suoi modelli/le sue modelle?
Non ci sono principi da seguire. Occorre vedere la persona ed entrare "nel dialogo" con lei. Può trattarsi di qualunque cosa: charme, rabbia, mistero...Non importa cosa, ma devi provare un sentimento. Se fa emergere qualche emozione nel fotografo, farà provare ogni tipo di sentimento al pubblico.
Ci parli più a fondo del suo lavoro. Da dove vengono i suoi clienti? Sono soprattutto ungheresi? Oppure lavora a livello internazionale? Ha mai lavorato per italiani?
Per me la fotografia è un'arte ed, in generale, è anche molto importante come fonte d'informazione. In questi settori si lavora a livello internazionale. Al giorno d'oggi, non ci sono ragioni per limitarsi a lavorare in un solo paese. Realizzo progetti a Mosca, diversi in Italia, altri qui in Ungheria. Ho inoltre clienti da Francia e Germania. Dipende sempre dal tipo di progetti di cui mi sto occupando al momento. Ad esempio realizzo molte foto di moda per stilisti italiani emergenti. Come per i ritratti, si tratta sempre di realtà differenti. E persone diverse, naturalmente. Vivendo in Ungheria, credo che anche arrivando in un paese piccolo dalle grandi megalopoli, un individuo possa realizzare con le sue mani grandi progetti, interessanti per lui/lei, per il paese e per le persone che ci vivono.
La mostra all'aeroporto di Budapest
Pochi mesi fa abbiamo realizzato un progetto con la Budapest International Airport. Un'esperienza del tutto nuova per me e per loro. Una mia esposizione personale nell'aeroporto. Questo significa molto, se pensate che ogni giorno circa 600 persone per quasi 6 mesi hanno guardato le mie foto. Sono stata felice di ricevere lettere con commenti positivi. Un potente incentivo per la carriera che incide anche sul tuo modo di vivere con la città. Si crea un dialogo, anche se sei straniero/a.
Cosa può dirci della concorrenza? E qual è lo stato del mercato della fotografia dopo la crisi economica?
Adesso abbiamo una situazione molto interessante. Piuttosto strana, a dire il vero. Diversi fotografi famosi pensano si stia verificando una sorta di destabilizzazione nel nostro mercato, in quanto molti nuovi fotografi, studenti e persone con poca esperienza (anche persone con l'hobby della fotografia) entrano in questo mercato e provano ad assaltarlo con prezzi molto bassi. Ma "cosa posso dire?" nessuno è nato con con la macchina fotografica in mano. Prima o poi occorre scoprire di avere questo talento o passione dentro di noi. Quando lo scopri, ti senti pronto a fare questo lavoro. In questo caso puoi essere più o meno professionista. Meglio molto che poco!
Quali temi preferisce per i suoi scatti?
Mi piace la bellezza, in tutti i sensi e da tutte le angolature. Il mio ideale è quello di trovare la bellezza ovunque. Soprattutto nei dettagli, direi, perché credo che i dettagli e le emozioni colorino la nostra vita.
Un'ultima domanda: come si scatta una buona foto? Mi rendo conto che è una domanda difficile...
Non è una domanda difficile! Se credi e senti davvero che la tua foto è fatta bene. Se produce emozioni positive in te, allora è già buona. Se trovi qualcosa di nuovo su di te, come quando scrivi un articolo da giornalista o come quando, nel caso di un'artista, stai disegnando un nuovo quadro e scopri qualcosa di nuovo su di sé solo guardando ciò che ha creato, allora saprai che è già un buon lavoro. E questa sarà l'emozione che proverà il tuo pubblico. E questa è davvero un ottimo risultato.
Video e testi a cura di Claudia Leporatti
Le foto utilizzate nel video e nell'articolo sono creazioni originali di Ekaterina V.Naumenko.